“Anna era così, una che faceva comunque quello che voleva senza sentire ragioni, un’impulsiva piena di entusiasmo, e una nuotatrice provetta, per giunta.” Eppure un’onda feroce a Cape Cod le spezza la schiena e la strappa via a Seymour Baumgartner, che da quando l’aveva incontrata aveva cominciato “la sua vera vita, la sua sola e unica vita.”
Sono passati dieci anni da quel pomeriggio, Baumgartner affronta le giornate a tentoni senza l’amata moglie, versando ogni mattina una tazza di caffè anche per lei, entrando nello studio, sedendosi alla macchina da scrivere muta e martellando sui tasti qualcosa solo per sentire il suono della dita di Anna. Un’assenza che pesa con costanza, che si insinua nei gesti quotidiani e brucia.
Baumgartner e il dolore di una perdita: vivere nell’assenza
“Mi manca, tutto qui.”
Una sofferenza simile ai postumi di un’amputazione, quella sindrome dell’arto fantasma che diventa sindrome della persona fantasma. Un dolore profondo, “indegno”, per pensieri e per immagini: un telefono rosso staccato che non può squillare, ma che continua a squillare, un pentolino di alluminio carbonizzato, vederla in sogno o rannicchiata sul divano con un libro armata di matita a sottolineare i brani che le interessavano.
Ricordi e fantasmi: la scrittura come rifugio
Il romanzo scava nella psicologia di un uomo che ha perso il suo punto di riferimento, costringendolo a un viaggio interiore doloroso e necessario. La scrittura diventa il suo unico appiglio, un tentativo disperato di trattenere Anna nel presente, di colmare il vuoto con le parole.
Un libro che, che con la penna di un grande scrittore, elabora il lutto attraverso ricordi, oggetti, incontri, frasi scritte, gesti e suoni di una quotidianità che non c’è più o di nuovi percorsi. Una narrazione densa di riflessioni impregnate di nostalgia e sentimento, dove le parole, affilate in fila, sono cura per il cuore di chi resta.
Il libro: Baumgartner, Paul Auster, Einaudi

