La vita altrove è l’ultimo libro di Guadalupe Nettel, autrice messicana di cui ho letto tutto, in tempi rapidi. Appena l’ho scoperta, non l’ho più lasciata.
Come quando sei innamorato e sembri un idiota, tra l’imbarazzo e il sudore tutte le parole ti paiono impacciate o sbagliate, ecco, questo è l’effetto che mi fa Guadalupe Nettel. Amo la sua scrittura, vorrei spiegarlo, ma le parole si incastrano nel pensiero e mi sembrano tutte banali. Una scrittura accogliente come il velluto e affilata come una lama tagliente al tempo stesso.
Otto racconti da assorbire con foga, ma allo stesso tempo vorresti non finissero mai.
Un incendio che brucia il bosco e tutto ciò che una madre credeva di conoscere dei figli, una vita che vorresti diversa e quando ingoi quella nuova come una caramella magica ti accorgi dell’errore fatto nel cambiare. Un albatro, quel re dell’azzurro goffo e vergognoso, simbolo dei poeti maledetti, che nelle leggende si tramuta in una sciagura per chi lo uccide e tale credenza permea la realtà di angoscia. Un’araucaria che con le sue radici e la sua possanza rappresenta la stabilità di una famiglia e se si ammala un’ombra funesta rabbuia tutti.
Un intreccio di mondi reali e onirici, la vita qui o altrove, le speranze e il disincanto
” Io offrirò loro queste mie occhiaie e le rughe sempre più pronunciate di cui prendo atto ogni mattina davanti allo specchio. Non mi pento, è il prezzo che pago per ciò che rivendico. La vita lascia i suoi segni a coloro che osano guardarla con lucidità.”
Guadalupe Nettel sa sempre arrivare al lettore in modo sensibile e resistente al tempo stesso, con quell’inconfondibile sapore dolceamaro. Un pugno d’acciaio vellutato che mi colpisce e conquista sempre.
Quando mi viene chiesto un consiglio di lettura nell’ambito della narrativa contemporanea, se agisco di pancia e di cuore, su una scia dolcemente malinconica, è proprio a Guadalupe Nettel che penso.
La vita altrove, Guadalupe Nettel, La Nuova Frontiera