“Ascolto storie d’amore. E cosa ne farai? Vado a vivere la mia.” Ci sono frasi che non si limitano a essere dette: spalancano un orizzonte, come se qualcuno avesse pronunciato la chiave d’accesso a Il sogno del giaguaro, romanzo in cui la vita smette di essere attesa e diventa racconto, carne, scelta.
Passano gli anni, Antonio cerca Ana María ovunque, finché la trova sotto un albero di mango: “Non so quale sia la storia d’amore più bella. Ma eccotene mille. Ti va di scrivere la nostra?” Parole che fanno vibrare la pelle, scuotono come uno schianto improvviso: leggere è sentire l’anima arrendersi, sciogliersi senza difese.
Radici, fame e desiderio
Siamo a Maracaibo, Venezuela, nel cuore del Novecento. Antonio Borjas Romero, abbandonato da neonato sui gradini di una chiesa, viene raccolto da Teresa, mendicante muta e dura, che lo cresce con più rabbia che carezze. La sua infanzia è segnata dai graffi della vita: vende sigarette, serve in un bordello, conosce presto la crudezza delle strade. Poi l’incontro con Ana María: un colpo di fulmine. Per lei Antonio ascolta mille storie d’amore, per poi offrirle la più importante: la loro.
La loro unione non è solo intimità privata, ma missione. Entrambi diventano medici – lei la prima donna a esserlo nella regione – e trasformano la professione in vocazione, intrecciando amore e dedizione, coraggio e cura. Negli occhi di Antonio brilla sempre il riflesso liquido del lago di Maracaibo, come un destino che non smette di chiamare.
Dentro Il sogno del giaguaro
Il romanzo si apre in una saga familiare che cresce come un fiume in piena: le origini, le rivoluzioni, la sete di conoscenza, la figlia chiamata Venezuela, portatrice nel nome di un Paese intero da reinventare. È una storia di radici e libertà, di sangue che ribolle, di desiderio di futuro.
Magnolie in fiore, alberi di mango, oggetti che custodiscono memoria e presagi: il realismo magico attraversa ogni pagina, fondendosi alla concretezza del vivere. Bonnefoy intreccia la dimensione intima con quella collettiva, e io, leggendo, non resto spettatrice. Sento quella vibrazione sulla pelle, come se i sogni e i silenzi di questa famiglia fossero anche un po’ miei.
Bonnefoy non delude: restituisce volti che sembrano respirare, dimore che diventano custodi di sogni e paure, occhi che trattengono dolcezza e ferite. Questo libro non si limita a raccontare: pulsa, brucia, scorre come un sangue antico. È uno di quei romanzi che non si leggono soltanto: si attraversano. Restano addosso come una seconda pelle, e quando chiudi l’ultima pagina ti accorgi di aver respirato un mondo intero.
Il libro: Il sogno del giaguaro, Miguel Bonnefoy, 66th and 2nd



